La tutela della persona nell’epoca dei social network.

in Roma

Si resta sempre scioccati quando si leggono notizie di ragazzi, vittime di cyberbullismo o della diffusione in rete di loro immagini sexy, che decidono di togliersi la vita. Ci si interroga il più delle volte su come sia possibile che alcune foto o commenti “particolari” pubblicati su un social network, e visibili pertanto a più persone, abbiano la forza di colpire a morte le loro fragili vittime. Eppure succede, ormai troppo spesso.

Fatti come questi rappresentano, in realtà, solo la punta dell’iceberg di un fenomeno ben più diffuso e dilagante, che interessa ciascuno di noi (a partire dai nostri giovani) e che riguarda più in generale “l’uso sconsiderato della rete”. Volenti o nolenti ci ritroviamo tutti nell’era digitale. Nei primi anni ’90 se ne vedevano solo gli innegabili vantaggi, ma con il passare degli anni è ormai necessaria una riflessione più profonda sull’utilizzo consapevole dei social network vista l’incredibile velocità con cui si sono diffusi tali strumenti, dotati di potenzialità sempre maggiori, ma anche della facilità e semplicità con cui chiunque vi può accedere.

Solo chi ne scopre i rischi, che pur essendo sotto gli occhi di tutti vengono troppo spesso sottovalutati, può adottare le opportune cautele per evitare di diventare vittima o anche inconsapevole autore di fenomeni, più o meno gravi, come il cyberbullismo, il cyberstalking, la diffamazione, la pedo-pornografia.

Conoscere i pericoli nascosti della rete non sempre è sufficiente. Al giorno d’oggi appare invece fondamentale tornare al bene “persona”, facilmente danneggiabile navigando su internet e che bisogna proteggere in tutti i modi possibili e compatibili con la digitalizzazione che ci circonda. Accade spesso, infatti, che il valore della persona, propria e altrui, venga a mala pena percepito o comunque minimizzato dagli stessi adulti. 

E’ un tema che ci riporta all’essenziale in un’epoca in cui tutto sembra scorrere senza lasciar traccia. E’ ormai essenziale educare i nostri giovani sul valore della persona, propria e altrui, come è essenziale farli riflettere sui diversi aspetti che la caratterizzano: l’integrità fisica e psichica, l’identità, la dignità, la protezione delle informazioni la riguardano (c.d. dati personali), nella speranza che le “forme” con cui circolano oggi le

informazioni (sempre più snelle e veloci) possano andare di pari passo con i “contenuti” immessi nella rete. Ciò non significa limitare l’esercizio della libera manifestazione del pensiero di chi naviga in rete, ma semmai bilanciare tale libertà con il rispetto della persona.

Del resto, i diritti che riguardano la persona sono “inviolabili” e riconosciuti e garantiti dalla Repubblica (art. 2 Cost.), nonchè dall’ordinamento comunitario e internazionale (v., tra le altre, la Convenzione europea dei diritti dell’uomo Roma 4.11.1950 e la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo Parigi 10.12.1948).

Sarebbe importante, pertanto, stimolare in ogni modo i giovani, a partire da quelli in età scolare e con strumenti e linguaggi a loro dedicati, non solo sui pericoli e sui rischi che corrono nel frequentare la rete, ma più a monte sulla bellezza e sul valore della persona, che a volte loro stessi tendono a sminuire e ferire senza neanche rendersene conto.

La formazione dei giovani è, tuttavia, solo uno degli anelli di una catena molto più articolata di un processo di contrasto e di sensibilizzazione sul tema, che in qualche modo si è già avviato e che deve vedere quale parte attiva e creativa non solo i politici e gli Stati, ma anche i giornalisti, i giudici, i giuristi e ognuno di noi nel ruolo di genitori, nonni o di semplici cittadini.

  • social network come strumento di offesa

Per una tutela più al passo con i tempi verso gli illeciti che vengono quotidianamente commessi mediante i social network, l’ordinamento italiano sta compiendo sforzi certamente apprezzabili in linea con il quadro internazionale e comunitario. L’impianto normativo sugli illeciti compiuti tramite internet appare, tuttavia, piuttosto frammentario e non sempre incisivo per la repressione di un fenomeno che è sempre più dilagante e difficile da arginare, anche per le caratteristiche proprie della rete. Non può ignorarsi, infatti, la velocità con cui circolano suinternet anche i commenti più offensivi e la difficoltà con cui si cerca (il più delle volte senza riuscirci) di cancellarli definitivamente.

Tra gli illeciti che si verificano più frequentemente in rete si segnalano l’ingiuria, la diffamazione, la sostituzione di persona, lo stalking, fino alle ipotesi più gravi di adescamento di minori e pedopornografia. Un discorso a parte merita, poi, il cyberbullismo, oggetto di recente riforma e all’attenzione della società civile, anche per i drammatici episodi di suicidio di cui si sente parlare sempre più spesso dalla stampa.

Si riporta, qui di seguito, una breve descrizione dei singoli illeciti.

Se si offende l’onore e il decoro di una persona con comunicazioni informatiche o telematiche o con scritti o disegni a lei diretti, è prevista dal 2016 una sanzione pecuniaria civile da 100,00 € a 8000,00 € (art. 4 d.lgs. n. 7/2016). Il reato di ingiuria è stato infatti abrogato e sostituito da un illecito civile, indicandosi esplicitamente che tale offesa può avvenire anche “mediante comunicazione informatica o telematica”, prima frutto di interpretazione giurisprudenziale e dottrinale.

Se ad essere offesa è, invece, la reputazione di una persona (e cioè la considerazione o l’idea che gli altri hanno della persona stessa), comunicando con più soggetti e in sua assenza, ricorre il reato di diffamazione, che è aggravato “se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità ovvero in atto pubblico” (art. 595 co. 3 c.p.). La Corte di Cassazione ha più volte evidenziato come il reato di diffamazione possa essere commesso anche a mezzo internet (Cass. pen., sez. V, n. 4741/ 2000, n. 16262/2008, n. 35511/2010 e n. 44126/2011), sussistendo in tal caso l’ipotesi aggravata di cui al comma 3 della norma incriminatrice (Cass. pen., sez. V, n. 44980/2012). Anche un commento “postato” su una bacheca Facebook può realizzare, infatti, la pubblicizzazione e la diffusione dello stesso per l’idoneità che hanno i social network “a determinare la circolazione del commento tra un gruppo di persone comunque apprezzabile per composizione numerica” ed essendo strumenti attraverso cui gruppi di soggetti socializzano le rispettive esperienze di vita, valorizzando in primo luogo i rapporti interpersonali (Cass. pen., sez. I, n. 24431/2015 e n. 16712/2014). Se il commento “postato” su internet risulta, pertanto, offensivo dell’altrui reputazione, si realizza il reato di diffamazione aggravata ex art. 595 comma 3 c.p. (Cass. pen. Sez. V n. 8328/2016; n. 3981/2016).

A tutela della pubblica fede, ma anche dell’identità della persona, può commettersi il reato di sostituzione di persona (art. 494 c.p.) da parte di chi crea e utilizza un determinato profilo su unsocial network riproducente l’immagine di una persona, con una descrizione tutt’altro che lusinghiera (es. informazioni personali di carattere dispregiativo) e che mediante tale falsa identità usufruisce dei servizi forniti dal social network, consistenti essenzialmente nella possibilità di comunicazione in rete con altri iscritti (indotti in errore sulla sua identità) e di condivisione di contenuti (Cass. pen. Sez. V n. 25774/2014, cfr. anche Cass. pen. Sez. III n. 12479/2011 e Sez .V n. 18826/2012 e n. 46674/2007).

Si realizza, invece, il reato di maltrattamenti (art. 660 c.p.) nella condotta di chi invia messaggi molesti, per petulanza o per altro biasimevole motivo, nella pagina di un profilo pubblico di una persona, riconosciuto un luogo virtuale aperto all’accesso di chiunque utilizzi la rete, e quindi “un luogo aperto al pubblico”, come è richiesto dalla formulazione del reato in esame (Cass. pen. Sez. I n. 37596/2014) Il reato di stalking tramite social network è previsto, invece, dall’art. 612 bis c.p. (Cass. Sez. V n. 21407/2016 ).

Per quanto riguarda, poi, il grave fenomeno dei “reati sessuali”, nel 2012 è stato introdotto il reato di adescamento di minorenni, intendendosi per adescamento “qualsiasi atto volto a carpire la fiducia del minore attraverso artifici, lusinghe o minacce posti in essere anche mediante l’utilizzo della rete internet o di altre reti o mezzi di comunicazione” posto in essere allo scopo di commettere i reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter 600-quater, anche se relativi al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1600-quinquies, 609-bis, 609-quater609-quinquies e 609-octies (art. 609 undeces c.p.). Infine, ulteriori modifiche sono state introdotte al quadro sanzionatorio penale in tema di sfruttamento sessuale dei bambini e pedopornografia anche a mezzo internet (v. ad es. il reato di “pornografia virtuale” ex art. 600quater c.p. – cfr. l. 269/1998 e l. n. 38/2006).

Un accenno merita, infine, il trattamento illecito di dati personali, reato che può essere compiuto tramite internet e che è previsto dal Codice in materia di protezione dei dati personali (art. 167 d.lgs. n. 196/2003). Con un semplice “post” su unsocial network si può realizzare, infatti, un trattamento illecito di dati sempre che il “post” venga diffuso, ad esempio, senza il consenso della persona interessata e che questo trattamento (di diffusione del “post”) sia stato effettuato al fine trarre per sé o per altri profitto o di recare ad altri un danno, e sia effettivamente derivato un danno (nocumento) all’interessato. Tale reato è previsto a protezione dei dati personali della persona, e cioè delle informazioni o immagini che alla stessa si riferiscono e che possono avere anche natura sensibile se riguardano, ad esempio, la salute, le abitudini sessuali, le convinzioni religiose o politiche della persona (art. 4. d.lgs. n. 196/2003).

La carrellata di reati appena compiuta è sicuramente utile per inquadrare i pericoli che si nascondono nella rete. Tuttavia, la previsione degli illeciti in questione non sembra essere risolutiva per eliminare, o comunque arginare efficacemente il diffusissimo fenomeno dell’uso sconsiderato dei social network che accomuna sia i ragazzi sia i loro genitori e che rappresenta il terreno fertile per lo sviluppo degli illeciti medesimi. Ci troviamo di fronte, piuttosto, ad un problema culturale ed educativo della nostra epoca, che deve essere affrontato da più punti di vista e che deve smuovere le coscienze di ognuno di noi, che siamo parte integrante non solo del problema (chi non ha vicino qualche ragazzo che naviga sui social network a volte senza inibizione alcuna?) ma anche della soluzione (perché chiunque, conoscendo i pericoli sottesi alla rete, potrebbe chiedersi “io che posso fare?”).

Di fronte alla complessità di tale fenomeno, proviamo allora a spostare l’attenzione sulla prevenzione dei reati a mezzo internet e sulla formazione degli operatori e dei fruitori circa un utilizzo sempre più consapevole dei social network, che inizia dalla protezione della persona e dei dati personali alla medesima riferiti, anche quando non si realizzi alcun illecito.

  • La legge n. 71 /2017 in materia cyberbullismo

In tema di cyberbullismo nei confronti e da parte dei minori, si assiste favorevolmente ad una spinta del legislatore nella direzione della formazione e della prevenzione. Con uno sguardo ai drammatici fatti di cronaca che hanno visto la morte prematura di giovani vittime di bullismo, il legislatore ha di recente approvato la legge n. 71 del 29 maggio 2017 che prevede “Disposizioni a tutela dei minori per la prevenzione ed il contrasto del fenomeno del cyberbullismo” (in vigore dal 18 giugno 2017). Scorrendo le disposizioni in esame, si legge che “l’obiettivo è quello dicontrastare il fenomeno del cyberbullismo in tutte le sue manifestazioni, con azioni a carattere preventivo e con una strategia di attenzione e tutela nei confronti dei minori coinvolti, sia nella posizione di vittime sia in quella di responsabili di illeciti, assicurando l’attuazione degli interventi senza distinzione di età nell’ambito delle istituzioni scolastiche ” (art. 1 co. 1 l. 71/2017).

Per “cyberbullismo” si intende qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti on line aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo (art. 1 co. 2 legge cit.).

Vengono così definite le caratteristiche di un fenomeno, che rappresenta una vera e propria aggressione alla persona (in questo caso del minore) e che avviene con diverse modalità (ad esempio, diffamandola, ricattandola o molestandola) e per via telematica (il che rende l’offesa esponenzialmente più grave), con l’intenzione di isolare il minore all’interno della comunità virtuale in cui vive o di metterlo in ridicolo di fronte alla stessa comunità.

Bisogna tener conto, inoltre, che la realtà virtuale vissuta dai giovani d’oggi non è quasi mai è separata dalla loro vita reale e che, quindi, l’offesa che avviene on line molto spesso ha ripercussioni negli ambienti che frequentano ogni giorno, come la scuola, la piazza, il campo sportivo.

A tutela della dignità della vittima di cyberbullismo, la legge in esame prevede che il minore (o il genitore o esercente la sua responsabilità) possa presentare al titolare del trattamento o al gestore del sito internet (che è il prestatore di servizi della società dell’informazione sulla reteinternet) un’istanza di oscuramento, rimozione o blocco di qualsiasi altro dato personale del minore, diffuso nella rete internet, previa conservazione

dei dati originali, anche qualora le suddette condotte non integrino le fattispecie illecite previste dall’articolo 167 del Codice in materia di protezione dei dati personali (trattamento illecito di dati), ovvero da altre norme incriminatrici.

Ancor prima che si commettano veri e propri illeciti, il minore potrà quindi esercitare il diritto di chiedere al gestore del sito internet la rimozione dei commenti o delle foto, che sono stati diffusi su internet e che lo hanno offeso e danneggiato.

In un secondo momento sarà possibile rivolgersi al Garante per la protezione dei dati personali, nel caso di assenza di alcuna risposta da parte del gestore del sito internet nelle 12 ore dal ricevimento dell’istanza o se non si sia provveduto a quanto richiesto nelle 48 ore dall’istanza medesima o nel caso in cui non sia stato possibile identificare il titolare del trattamento o il gestore del sito internet (art. 2, comma 2, legge cit.).

In tutti i casi, le disposizioni in esame prevedono l’ammonimento del questore nei confronti del minore che abbia compiuto l’atto di cyberbullismo (misura che è già prevista in caso di stalkingex art. 612 bis c.p.).

Nonostante la bontà delle misure “repressive” previste, non può certamente ignorarsi che molto spesso sono le stesse vittime ad avere difficoltà ad avviare i processi posti a loro tutela e che il Garante possa essere subissato dalle richieste di rimozione, pur non essendo dotato delle risorse necessarie. Non può trascurarsi, ancora, che una volta immesse in internet foto o commenti denigratori nei confronti di una persona, difficilmente potrà garantirsi la loro cancellazione definitiva, non potendosi escludere che una volta pubblicati sui social networkaltre persone li abbiano raccolti e salvati nei loro dispositivi informatici. Si torna, così, a parlare di prevenzione e sensibilizzazione sul tema.

La legge in esame prevede, al riguardo, l’istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri di un tavolo tecnico per la prevenzione e il contrasto del cyberbullismo in cui parteciperanno tutti i soggetti in qualche modo coinvolti nel fenomeno in esame e quindi non solo le istituzioni, come i Ministeri degli interni, dell’istruzione, della giustizia, Agcom, Garante per la protezione dei dati personali e il Garante per l’infanzia e l’adolescenza, ma anche le associazioni coinvolte nel Safer internet centre, le associazioni degli studenti e dei genitori o altre associazioni comunque attive sul tema. Solo a titolo esemplificativo, si segnala l’associazione degli studenti http://mabasta.org/ e l’associazione dei genitorihttp://www.moige.it/# entrambe attive sul tema del cyberbullismo. Tale tavolo tecnico sarà competente a redigere un piano di azione integrato per le finalità di contrasto e prevenzione in esame, che verrà integrato con il codice di autoregolamentazione rivolto agli operatori che forniscono sevizi di social networking e agli altri operatori della rete

internet e che stabilirà, altresì, “le iniziative di informazione e di prevenzione del fenomeno del cyberbullismo rivolte ai cittadini” (art. 3 legge cit.).

E ancora, vi saranno linee di orientamento per la prevenzione e il contrasto in ambito scolastico che prevedono una partecipazione attiva non solo delle scuole, ma anche degli stessi studenti, con l’auspicio che le istituzioni scolastiche di ogni ordine e grado promuoveranno, nell’ambito della loro autonomia e delle risorse disponibili, “l’educazione all’uso consapevole della rete internet, quale elemento trasversale alle diverse discipline curriculari, anche mediante la realizzazione di apposite attività progettuali aventi carattere di continuità tra i diversi gradi di istruzione” (art. 4, comma 5, legge cit.).

Tali disposizioni fanno sicuramente ben sperare, ma allo stesso tempo si scontrano con la velocità con cui corre il fenomeno del cyberbullismo (e più in generale dell’uso sconsiderato della rete), che da un lato richiede spinte “dall’alto” di carattere internazionale o comunque da parte del legislatore e delle istituzioni, dall’altro interroga ognuno di noi sulle caratteristiche di tale fenomeno e sugli strumenti da porre in essere, fin da oggi, per iniziare a contrastarlo efficacemente e ad arginarlo.

Una formazione stabile e strutturata degli studenti sull’uso consapevole della rete internet non si realizza, infatti, nel momento in cui viene prevista, ma costituisce il punto di arrivo di un processo che deve vedere collaborare le istituzioni con le persone che sono più a contatto con il fenomeno. Deve avviarsi un vero e proprio “processo culturale” nel quale ognuno di noi possa sentirsi coinvolto nell’affrontare il problema in maniera univoca ed efficace (chi come amico, chi come genitore, chi come formatore, chi come operatore del settore). Solo così le nozioni da trasmettere ai ragazzi acquisiranno sostanza.

  • I progetti già in corso: “Generazioni connesse” e “Una vita da social”

Solo a titolo esemplificativo, si riportano due tra le più significative iniziative già avviate in Italia per far conoscere ai ragazzi i pericoli ed i rischi connessi alla rete. Tali progetti sono finanziati dall’Unione Europea e coordinati rispettivamente dal Ministero dell’istruzione (“Generazioni connesse”) e dal Ministero dell’Interno (“Una vita da social”) nell’ambito della “Connecting European Facility: Safer Internet”.

Il progetto “Generazioni connesse” si realizza attraverso una piattaforma informatica che si pone come riferimento a livello nazionale per quanto riguarda le tematiche relative alla sicurezza in rete e al rapporto tra giovani e nuovi media (cfr.http://www.generazioniconnesse.it/site/it/home-page/). Il secondo progetto “Una vita da social” fa capo al Ministero dell’Interno con la collaborazione della Polizia postale ed è

volto alla prevenzione di comportamenti compulsivi ed illegali (https://www.commissariatodips.it/vita-da-social.html. Tra le varie proposte, il SIC Italia (Safer Internet Centres – polo di riferimento nazionale sul tema) organizza il Safer Internet Day che è la giornata istituita dalla Commissione europea per promuovere un utilizzo sicuro e responsabile dei nuovi media tra i più giovani. L’ultima giornata si è svolta il 7 febbraio 2017, in concomitanza con la prima Giornata nazionale contro il bullismo e il cyberbullismo a scuola dal titolo “Un nodo blu – le scuole unite contro il bullismo” lanciata dal MIUR nell’ambito del Piano nazionale contro il bullismo.

Tali iniziative di sensibilizzazione, pur essendo assolutamente valide nella loro finalità, sono state, tuttavia, criticate dal Comitato ONU in sede di monitoraggio della Convenzione sui diritti dell’infanzia, che ha segnalato una “mancanza a livello istituzionale di una strategia degli interventi, coerente, integrata e di lungo termine”. Proprio con riferimento alle iniziative in esame, il Comitato ONU ha considerato, infatti, che “procedono su piani paralleli, e sono espressione della totale mancanza di una strategia comune che si rifletta nello sviluppo di sinergie in grado valorizzarle e di moltiplicarne gli effetti” (v. 7° Rapporto di aggiornamento sul monitoraggio della Convenzione diritti infanzia in Italia 2013-2014 p. 153).

Si consideri, inoltre, che tali progetti sono incentrati essenzialmente nel formare i giovani sulla prevenzione dei reati e sugli aspetti patologici legati all’utilizzo dei social network. Non a caso, il vademecum relativo al progetto portato avanti dal Ministero dell’istruzione, pubblicato all’interno della sezione “il progetto” su http://www.generazioniconnesse.it, riporta nel suo indice le seguenti voci: cyberbullismo, siti pro-suicidio, siti pro-anoressia e pro-bulimia, gioco d’azzardoon line, pedo-pornografia on linegrooming o adescamento onlinesexting, videogiochi on line, dipendenza da internet.

Sembra residuale, invece, in tali iniziative la formazione dei giovani per l’acquisizione di un’effettiva consapevolezza sul significato e sul valore della persona propria e altrui e sulla possibilità di proteggere i dati personali che li riguardano mediante un utilizzo cosciente deisocial network, nonché del diritto a proteggerli attivando strumenti di tutela a volte già esistenti.

Come si vedrà, è sufficiente “postare” informazioni su altre persone o “taggare” foto o video con altre persone per compiere un trattamento di dati personali e per violare la privacy altrui. Appare necessaria, quindi, l’acquisizione di una maggiore consapevolezza su cosa non si può fare navigando in rete e, in generale, su cosa è non è opportuno fare per non incorrere in tutta una serie di pericoli.

Il tema della protezione dei dati personali vedrebbe, inoltre, direttamente coinvolti tutti i giovani destinatari dell’opera di sensibilizzazione sul corretto utilizzo dei social network, in quanto semplici fruitori degli stessi (come i loro genitori e insegnanti). Il rischio, invece, è che in tali iniziative già menzionate si giunga efficacemente solo a quella minoranza dei giovani che è stata vittima o autore di specifici illeciti o che vive o ha vissuto patologie connesse all’utilizzo di tali strumenti.

  • Trattamento di dati personali altrui fruendo dei servizi dei social network. Il nuovo Regolamento UE 2006/679.

Quando si diffondono su internet foto o commenti riferiti ad una persona si compie un vero e proprio “trattamento di dati personali”. Si effettua un trattamento nel caso in cui, ad esempio, si raccolgono, estraggono, utilizzano, comunicano o diffondono dati personali (“qualunque informazione relativa ad una persona fisica” art. 4 d.lgs. n. 196/2003) o dati sensibili (che sono quei dati personali idonei a rivelare, tra gli altri, l’origine razziale ed etnica, le convinzioni religiose, le opinioni politiche, nonché i dati personali idonei a rivelare lo stato di salute e la vita sessuale di una persona).

La disciplina in materia di protezione dei dati personali consente a chiunque di tutelare i dati e le informazioni che lo riguardano, assicurando che il loro trattamento da parte di altri soggetti (titolari del trattamento medesimo) si svolga nel rispetto dei diritti e delle libertà fondamentali della persona, nonché della dignità dell’interessato, con particolare riferimento alla riservatezza, all’identità personale e al diritto alla protezione dei dati personali (artt. 1 e 2 d. lgs. 30.06.2003 n. 196 – Codice in materia di protezione dei dati personali, d’ora in avanti “Codice”, v. anche art. 8 Carta dir. Fondam. UE 7.12.2000 e art. 8 della CEDU 4.11.1950). Il Codice verrà presto sostituito dal nuovo Regolamento europeo in materia di protezione dei dati personali 2016/679, già in vigore dal 24 maggio 2016 ma che sarà definitivamente applicabile dal 25 maggio 2018, quando dovrà essere garantito il perfetto allineamento tra la normativa nazionale in materia di protezione dati e le disposizioni del Regolamento (v. www.gpdp.it).

Tale Regolamento contiene diverse disposizioni per una tutela rafforzata dei minori, secondo il principio enunciato nella Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (v. il considerando 38) e tenuto conto che il trattamento dei dati di un minore comporta, di per sé, rischi particolarmente rilevanti e tali da dover essere valutati con grande attenzione (v. il considerando 75). In particolare, l’art. 8 del Reg. 2016/679 prevede, per quanto riguarda l’offerta diretta di servizi della società dell’informazione, che per esprimere il consenso al trattamento dei propri dati personali, il minore debba aver compiuto 16 anni. Ne consegue

che solo il minore ultra-sedicenne potrà aprire un account su un social network, quale ad esempio Facebook. Si apre, poi, la questione su come individuare con certezza l’età nell’accesso al web, su cui si discute in diversi tavoli anche a carattere istituzionale.

Lascia perplessi, invece, il considerando 18 del Regolamento 2016/679 secondo cui “il presente regolamento non si applica al trattamento di dati personali effettuato da una persona fisica nell’ambito di attività a carattere esclusivamente personale o domestico e quindi senza una connessione con un’attività commerciale o professionale. Le attività a carattere personale o domestico potrebbero comprendere la corrispondenza e gli indirizzari, o l’uso dei social network e attività online intraprese nel quadro di tali attività”. Sarà interessante vedere la sua effettiva applicazione, anche alla luce di quanto già sviluppato in ambito internazionale in tema di utilizzo e fruizione dei social network. Con riferimento, infatti, alla c.d. esenzione domestica (e quindi alla non applicabilità della disciplina in materia di protezione dei dati personali in caso di trattamento per finalità personali tramite social network), il Gruppo di lavoro ex art. 29 (composto da un rappresentante delle Autorità di protezione dei dati personali, dal Garante europeo, nonché da un rappresentante della Commissione) con il parare 5/2009 affermava che “un numero elevato di contatti può indicare che l’esenzione domestica non si applica e che l’utente va quindi considerato un responsabile del trattamento” (cfr. anche il Rapporto e le Linee-Guida in materia di privacy nei servizi di social network – “Memorandum di Roma” 3-4- marzo 2008).

La disciplina attualmente applicabile resta comunque quella dettata dal Codice (d.lgs. n. 196/2003), secondo cui anche il trattamento di dati personali effettuato da persone fisiche “per fini esclusivamente personali” è sottoposto alle regole del Codice purché i dati personali siano oggetto di comunicazione sistematica o di diffusione (art. 5 co. 3 del Codice); situazione che può verificarsi tutte le volte in cui si “postano” commenti o foto in un “profilo pubblico” su unsocial network venendo conosciuti, infatti, da soggetti indeterminati (art. 4 co. 1 lett. m) del Codice).

Sul tema dell’applicabilità al trattamento in questione delle disposizioni del Codice, si segnala una recente pronuncia del Garante che ha disposto la rimozione anche dal “profilo privato” Facebook di una signora di sentenze relative alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, contenenti aspetti riguardanti l’intimità della vita familiare anche della loro figlia e facendo applicazione, tra gli altri, degli artt. 50 e 52, comma 5, del Codice (www.gpdp.it – provv.to n. 75 del 23.2.2017). Il Garante, in particolare, ha ritenuto che non può essere provata la natura chiusa del profilo e la sua accessibilità a un numero ristretto di “amici”, in ragione del fatto che esso è facilmente modificabile da “chiuso” ad “aperto” in ogni momento da parte del titolare, nonché della possibilità per qualunque “amico” ammesso al profilo stesso di condividere sulla propria pagina il post rendendolo,

conseguentemente, visibile ad altri utenti. Il numero di “amici”, peraltro, è suscettibile di continui incrementi anche in poco tempo.

Questo caso ha riguardato comunque una situazione particolare, e cioè la divulgazione di notizie idonee a identificare un minore coinvolto a qualunque titolo in procedimenti giudiziari, che è vietata ai sensi dell’art. 50 del Codice. Più in generale, gli adempimenti principali da adottare per divulgare dati personali riferiti ad altre persone sono l’informativa agli interessati (art. 13 del Codice) e l’acquisizione del loro consenso alla divulgazione medesima (art. 23 Codice).

Se ad essere diffusa su un social network è l’immagine di una persona vi è un’ulteriore forma di tutela prevista dagli artt. 10 del codice civile e 96-97 della legge sul diritto d’autore (l. n. 633/1941). In particolare, se la diffusione dell’immagine di una persona avviene senza il suo consenso o fuori dai casi in cui è dalla legge consentita o comunque con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona, l’autorità giudiziaria, su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso e riconoscere il risarcimento dei danni (cfr. ad esempio il Trib. Napoli 13.7.2014, che ha condannato una signora a rimuovere dal proprio profilo Facebook le fote relative al marito con cui pendeva un giudizio di separazione personale).

14/06/2018

Documento n.10825

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